Biarritz!!!

Devo dire di sentire ancora una scarica di adrenalina, a ripensare a quell'afosa e umida mattina di una domenica d'agosto. La casa vuota se non per i rumori di mio fratello al piano di sotto, anche lui impegnato nei preparativi; la luce che alle sette e mezza già inonda la casa, l'odore del caffé che lentamente si mischia al profumo delle dracene sotto il mio balcone, la tensione in ogni movimento...ma sto bene. Siamo in partenza.





Esattamente un anno prima, in quello stesso periodo, avevo fatto a me stesso una promessa: di sopravvivere in qualche modo al mio primo anno di università, e di tornare dai miei amici per fare insieme un viaggio che avremmo poi ricordato come epico. Da Sanremo, in sella ai nostri scooter (che parola limitata, per descrivere cavalcature così nobili ed eroiche!), fino a Biarritz, capitale del surf europeo, lambita dalle dolci onde dell'Oceano Atlantico. Non sapevo ancora che l'anno che avrei passato avrebbe dato a questo viaggio un significato ancora più profondo ed importante di quello che immaginavo...sopravvissi, questo sì, persi qualcosa e qualcuno lungo la via, guadagnai qualcos'altro - ancora non sapevo cosa - ma infine arrivò quella domenica, e la mattina non era mai stata più cristallina mentre il sole sorgeva fra le palme del Ponente ligure.



Dei sei personaggi che popolano la Compagnia Della Ruota, quella mattina eravamo solo in quattro, più mio fratello, entrato di diritto nel gruppo. Della serie pochi ma buoni: Sax, con il suo SH 150 rosso e grigio, una delle moto più stilose e originali (insieme a quella di Carlo) a girare per Sanremo, arbiter elegantiae fra i tamarri della nostra città.

L'inossidabile Brigg ed il suo XMax 125 grigio, affilato, all'apparenza quieto come il suo proprietario, ma pronto a tirare fuori i muscoli quando ce ne fosse stato bisogno.
Nico e il suo BatMax nero, un elicottero su due ruote, una moto senza alcun rispetto né ritegno, un biglietto da visita in carbonio e xeno.
Mio fratello Andrea in sella alla sua Vespa 300, l'ammiraglia del gruppo, protagonista di una storia tanto travagliata quanto bella e a lieto fine.
Infine io che scrivo, con la mia caffettiera da guerra, Bianca, un PX 150, all'inizio di un viaggio che ha cementato per sempre la nostra amicizia.
Eccoci qua, spensierati ma fieri, senza piani né idea di quello che ci sarebbe successo, semplicemente cinque amici e tanta strada da fare insieme.



Della prima tappa non conservo molte foto, a causa dell'andamento delirante della giornata: la meta di giornata era Marsiglia, un buon 300 km più a ovest, rigorosamente in statale.

Partiti senza fare troppi piani, ci siamo un po' adagiati sugli allori, e abbiamo pagato questa leggerezza perdendoci innumerevoli volte fra strade non segnalate, strade che scomparivano, strade che improvvisamente diventavano autostrade, a scelta, a seconda dell'ispirazione del momento. Quella sera progettammo accuratamente un attentato mortale al ministro dei trasporti e viabilità francese, poi sfumato per mancanza di fondi. Tutto questo per poi arrivare in centro a Marsiglia e scoprire che il nostro hotel (uno dei tre che avevamo prenotato, non ricordo perché ci sembrò una buona idea prenotarne tre) si trovava a 20 km dal centro, sulle colline circostanti.
Ma pur nella schizofrenia generale di quella leggendaria giornata, mi ricordo almeno tre momenti di puro godimento.
Il primo sul massiccio dell'Esterel, dopo Cannes, una strada tortuosa a picco sul mare. Pur carichi di bagagli, non potemmo fare a meno di tarrellare (come si dice in gergo) e godercela pennellando ogni curva.
Il secondo fu entrando a Marsiglia, calando dallo spettacolare Col de la Gineste, mentre l'ultimo sole del giorno, lo stesso che quella mattina mi aveva svegliato e messo di buon umore, cercava di ritardare il suo riposo per farci entrare in città con il conforto della luce.
Il terzo fu la cena. Alle 11 di sera, dopo che il proprietario di un ristorante wok si era impietosito e aveva tenuto aperto solo per noi, regalandoci anche da bere. Nella camera dell'albergo, ricordo le chiacchiere e le risate, finalmente sciogliendoci un po' dopo le difficoltà della giornata. 


La mattina dopo ci svegliammo nella quiete delle montagne della Provenza, un'ottima atmosfera per cominciare una giornata nuova di zecca.




Dopo i preparitivi, salpiamo. Usciti da Marsiglia sorprendentemente senza alcuna difficoltà, ci troviamo ad attraversare la splendida regione della Camargue. Ad Arles ci fermiamo per una meritata abbuffata a base di cous-cous.



Atttraverso le praterie e filari di alberi arriviamo a Aigues Mortes. Una foto di gruppo di fronte alle mura è dovuta.




Notare che le facce cominciano un po' a sbarellare. La meta di giornata è Agde, decisa per strada. Arriviamo al simpatico borgo medievale, e il nostro ospite per la notte, un albergatore palestrato con i pesi nella sala da pranzo, non fa altro che ammiccare e suggerirci di andare a Cap d'Agde, poco lontano, "oui oui, il y a beaucoup de filles là-bas, oui" e via d'occhiolino. 

Solo un anno dopo scopriamo che mentre andavamo a Biarritz, capitale del surf europea, avevamo avuto la fortuna di fermarci ad Agde, rinomata capitale degli scambisti d'Europa. 
E noi che quella sera credemmo di aver passato la migliore delle serate semplicemente fumando una sigaretta e passeggiando nel centro storico addormentato.



Il giorno dopo ci muoviamo da Agde, diretti verso Perpignan, con l'intenzione poi di girare decisamente verso destra, verso ovest, dentro i Pirenei. La giornata è calda, oltre i 30° gradi. Per combattere la monotonia degli stataloni dritti attraverso la pianura cominciano a nascere vari tormentoni, come la ballad "Fifty kilometres to Perpignan", poi incisa e diventata una fortunata hit. 

Ma anche no.
Pausa pranzo con piccione a Perpignan.



Usciti da Perpignan, finalmente cominciamo a divertirci un po'. Cominciamo ad affrontare le salite impressionanti dei Pirenei, cominciamo a renderci conto che non sono come la collina di Coldirodi, queste sono montagne, massicce e anche piuttosto incazzose. Non importa, siamo qui, e con la faccia tosta degli sprovveduti continuiamo ad arrampicarci. Bianca, la mia amica, non perde un colpo. Le salite sono ripide, la moto è costretta ad andare in seconda, a meno di 40 all'ora, ma tiene botta, non demorde, scarrozza i miei 80 chili ed i bagagli senza lamentarsi, più testarda del proprietario. Meravigliosa.



                           


Dopo un tunnel gelido e assordante per il rumore delle ventole, ritorniamo alla luce del sole, mentre completiamo la salita al Pas de la Casa, la porta per Andorra, un avamposto abbarbicato alla montagna, la cui cima è nascosta dalla nebbia, il che rende ancora più suggestivo il posto. 

Partiti con 35° gradi, siamo arrivati con 8° gradi, ancora vestiti come la mattina. Ricordo ancora le facce basite dei doganieri a veder passare cinque italiani in motorino con bermuda e maglietta.


La mattina dopo le nuvole sono sparite, ma salgono velocemente. Faccio in tempo a scattare alcune foto dell'aria di montagna, prima di ripartire e completare il passo nella nebbia più fitta in cui abbia mai guidato.



                             

Appena passato il valico, accade una di quelle cose che ti fanno amare un viaggio. Le nuvole si diradano, sono accumulate solo in corrispondenza della strettoia del passo: dall'altra parte c'è il sole, ed un panorama mozzafiato si apre davanti ai nostri occhi. Foreste di alberi, prati verdi di montagna, rocce irte, l'odore di aria fresca, il calore del sole sul viso dopo il freddo tagliente...il mondo davanti a noi è un parco giochi, ed abbiamo appena pagato il biglietto d'entrata.




Proseguiamo e scendiamo verso La Velha, capitale del minuscolo Principato d'Andorra. Nonostante l'esotismo del nome, della fama di uno stato così piccolo in mezzo ai giganti, il posto non ci fa troppa impressione, sembra semplicemente un gigantesco duty free a cielo aperto, con piramidi di stecche di tabacco e alcool ad accoglierci nei giganteschi centri commerciali.

Decidiamo di passare oltre, e ci dirigiamo verso un altro importante traguardo del viaggio. La frontiera spagnola ci aspetta, è il 4° stato del nostro viaggio (ebbene sì, non ci vergogniamo a contare anche Monaco!). Anche qui le facce dei doganieri sono tutte un programma, ma ormai non si contano i sorrisi, i pollici all'insù o gli aperti complimenti di chi vede passare cinque motorini targati Italia.


Anche in Spagna i passi dei Pirenei sono decisamente importanti. Quel giorno ne faremo due, tutti e due ampiamente sopra i 2000 metri (non sono i 2408 del giorno prima, ma si fanno sentire), che rendono le moto (cioè, la mia moto) un po' asmatiche. Ma una volta arrivati in cima la vista è una ricompensa per l'anima.




Dopo aver valicato il passo Port de la Bonaigua, verso sera rientriamo in Francia, fermandoci per la notte a Bagnères de Luchon. La mattina dopo siamo di nuovo in sella, ormai i passi più tremendi sono passati, ora da Biarritz ci separano monti e colli sempre più dolci, addentrandoci pian piano nell'Euskal Herria.




Una sosta pranzo a Lourdes, dove ci sfamiamo con il pasto del pellegrino, salsiccia e patatine fritte.



Ripartiamo, ormai dentro i Paesi Baschi, che ci regalano visioni e paesaggi bucolici. Il paesaggio è dolce, colorato, sonnolento, un dolce intermezzo fra gli aspri Pirenei e il ruggito dell'Oceano Atlantico.



                        
Finalmente verso sera cominciamo a sentire, insistente, l'odore del salino nell'aria. E' più una premonizione che una vera e propria sensazione, ma è lì, ad avvisarmi che sto arrivando. 
Dopo tutta la fatica per immaginarlo, per trasformarlo in realtà, dopo tutto quello che avevamo passato nell'anno appena trascorso, finalmente quel momento stava per arrivare, il momento che avrei visto l'Atlantico. 
E finalmente eccolo lì, dopo l'ultima curva della litoranea. 
La schiuma nell'aria avvolgeva la spiaggia in un'aura dorata.
Lentamente cammino sul bagnasciuga, arrivando davanti alla risacca. E proprio in quel momento, un'onda insolitamente più lunga delle altre arriva fino ai miei piedi, fradiciandomi le scarpe, i pantaloni. Sorrido. 
Era come se io avessi dovuto fare quei 1500 e passa chilometri per arrivare fino all'oceano, e l'oceano avesse fatto quei due metri per venirmi incontro. 
Mi aveva dato il benvenuto.



Quella sera ci fu ancora tempo per una specie di dramma. Dei tre alberghi che avevamo deciso di prenotare per il viaggio, uno era chiaramente quello di Biarritz, dove ci saremmo fermati per qualche giorno. Al momento però di chiamarlo per avvisare che stavamo arrivando, scopriamo che avevano dato via le nostre camere. A volte però il karma, l'universo, Dio, la fortuna, quello che volete, ha un suo strano modo di ristabilire l'equilibrio, e spesso ricompensarti. Quella sera la fortuna si presentò nei panni di una minuta signora sulla cinquantina, una pimpante signora francese, di nome Chantal.
Avrebbe messo a disposizione di lì a qualche giorno una chambre d'hote (come metto l'accento circonflesso sulla "o"?) per tre persone, a casa sua. Noi eravamo in cinque, con cinque moto, in anticipo di una settimana. 
Ma a Chantal non importava. Ci fece accomodare in casa sua, ci diede un letto, un tetto e un posto per le moto, e passammo cinque giorni strepitosi.

La mattina dopo fu dedicata a noi, a riprenderci un attimo dalla dolce follia dei giorni precedenti. Per prima cosa, una sana colazione all'una del pomeriggio.


Dopodiché, un salto in lavanderia. Se noi eravamo disfatti, immaginate i nostri vestiti.


Qualche scorcio di Biarritz, davvero una bella città.




I giorni successivi sono trascorsi fra ozio, cazzeggio, surf, cazzeggio, ozio, e un po' di surf che non guasta mai. E cazzeggio, quello sempre. E parecchio ozio, anche.








Un po' nazi surfer quest'ultima.
Prima di quanto volessi, arrivò infine il momento di partire. Saluti e ringraziamenti alla mitica Chantal, di cui peraltro mi sa che ho ancora il numero, da qualche parte, ed ultimi preparativi sulle moto.



Lasciamo la nostra palletta, firmata da tutti noi, ai prossimi inquilini.

Della partenza da Biarritz, conservo un altro bellissimo ricordo. Frullando sui 70 su una statale appena fuori la città, chiusa fra due filari di splendidi platani, vedo da lontano, al termine del rettilineo, staccarsi una foglia dall'ultimo albero. 
Tengo la velocità, e seguo con lo sguardo il viaggio della fogliolina. Quando arrivo all'altezza dell'ultimo albero, la fogliolina è ancora lì che rotea, devo solo staccare la mano sinistra dal manubrio e prenderla. 
Ce l'ho ancora quella foglia. Evidentemente, come mi era stato dato il benvenuto dall'oceano solo qualche giorno prima, ora quel posto mi stava dando un commiato.
Ho sorriso sotto la bandana e messo la fogliolina in tasca.

La prima tappa del ritorno è stata nella ridente cittadina di Tarbes. Beh oddio, ridente magari no...incontriamo diversi casi umani. Un pazzo al semaforo ci urla qualcosa dietro. La coppia di albergatori è simpatica, ma lui sveglia la clientela al mattino con della musica inquietante di violini, e lei parla senza tirare il fiato, al limite del colpo apoplettico; impossibile star seri ascoltandola. Mettiamo le moto in un parcheggio sotterraneo, e l'addetto ci intima di pagare un ticket per ogni moto, assolutamente. "Un cìchet par machina! Un cìchet par machina!" ci urla dall'alto della sua macchina lavapavimenti, inseguendoci a due all'ora mentre noi scappiamo. Il barista ciccione del bar in piazza arriva sudato e ansimante. Non vuole portarci i menù, neanche il portacenere. Vabbè. Cinque birre, s'il vous plait.
Infine, cenando in un buonissimo ristorante vietnamita, serviti dalla deliziosa figlia del gestore, ad un certo punto entra uno stalker, che si siede e comincia a fissare e importunare la nostra beniamina. Dovrà intervenire il padre a farlo sloggiare, mentre noi eravamo già sul piede di guerra. Strani personaggi popolano le strade di Tarbes.




Decisamente strani.


La mattina dopo siamo diretti a Foix, nella Languedoc. La giornata è tranquilla, passiamo per le dolci campagne e pittoreschi paesini a nord dei Pirenei, guardando a sud le stesse montagne che la settimana prima ci hanno terrorizzato con le loro altezze.




Proseguono le visioni inquietanti.


Ma alla fine anche questa giornata si conclude, e i neon del motel regalano una strana atmosfera alla serata.


La tappa è tranquilla anche il giorno successivo. Attraversiamo le remote campagne della Languedoc, fra antiche vestigia di edifici romani e paesini in pietra dello stesso colore della terra.





La sera arriviamo a Narbonne, una città stupenda, dall'atmosfera magica. Per tutta la sera passeggiamo rapiti, fra resti di architettura romana, sontuose cattedrali, concerti all'aperto sul lungocanale, e balli di gruppo in una piazzetta nascosta sul fiume.











Il giorno dopo non ci riserva né grandi paesaggi né particolari sorprese. La strada non è particolarmente bella, solo stataloni e svincoli tentacolari dalle parti di Montpellier, che ci ricordano quanto sia disastrata la viabilità francese, o meglio quanto siamo inetti a noi a perdere la strada ogni trecento metri. 
Ci fermiamo a pranzare in un centro commerciale, attirati come bambini dalle luci e dai rumori insistenti, come fosse una giostra. Sax finirà per rubare un chupa chups, per sbaglio. Giuro, per sbaglio. Anche se l'Interpol non gli ha creduto.
Un vecchio annoiato dalla parti di Mauguio (pronuncia "moghiò") a cui chiediamo indicazioni ci pinza e non ci vuole più lasciare andare.
Ma alla fine arriviamo nell'ultimo dei famosi tre hotel da noi prenotati prima della partenza (ma perché proprio tre, mi chiedo ancora? Due no? O quattro? Con quale criterio poi avevamo scelto proprio quei posti, che strategia c'era dietro? Va che eravamo strani). Oddio, hotel. Dai, motel. Oddio, motel. Più che altro una ciminiera con dei letti, a giudicare dal puzzo delle camere.



Fortunatamente la vicina città di Nimes offre un piacevole diversivo al tirarsi le M&M'S in camera o farsi rincorrere dal cagnetto incazzoso del proprietario.

                                      


                                      







Il giorno successivo, quattordicesimo ed ultimo del viaggio, è un giorno da dentro o fuori, non saprei come descriverlo. Tutta la pioggia, sfiga e magagne meccaniche che miracolosamente non avevamo beccato in due settimane le becchiamo tutte in quel giorno, che comunque ricordo come un giorno molto speciale. Denso di esperienze, momenti di panico e assoluta esaltazione, paesaggi, temperature e sensazioni. In un solo giorno, tutto ciò che un viaggio, e la vita dovrebbero essere.

La mattina restiamo alti sopra la Camargue, puntando su Avignone, la città dei papi. E' un'emozione varcare le mura, e arrivare nel monumentale centro storico della città in sella alla propria moto.





Ripartiamo diretti a sud-est, verso Aix en Provence. Una splendida strada che scorre fra due filari di immensi platani (gli stessi della fogliolina) immersa nel verde della Provenza ci porta fuori dalla Camargue. 
Ma poco prima di Aix, il diluvio. Lo vediamo avvicinarsi minaccioso, sempre più nero, talmente buio che gli occhiali da sole sono inutili, in pieno giorno. Scoppia sopra di noi e facciamo in tempo a fradiciarci prima di trovare riparo sotto la tettoia di un bar chiuso.


Decidiamo di ripartire, dato che la pioggia non sembrava aver intenzione di smettere. Facciamo in tempo a fare qualche chilometro e ci troviamo in una coda di macchine, per entrare ad Aix. 
E lì entra in gioco la sfiga. Asfalto bagnato, moto eccessivamente cariche, dover frenare di continuo..capita di cadere, e stavolta tocca a mio fratello. 
Per fortuna non è niente di che, mio fratello sta bene, la moto ha il fanale rotto, ma con del nastro isolante di un allegro color arancione riusciamo a farlo star su, perlomeno.
Ripartiamo, e dentro Aix arriva il guasto: la moto di Sax non decelera. Rimane accelerata, e lui è costretto a fare i numeri per non ammazzarsi ad ogni semaforo. Forse il cavo del ritorno rimane bloccato. Aspettiamo e smanettiamo un po' per farlo riposizionare bene nella guaina, sembra andare. 

Prendiamo a 50 all'ora la strada per Tolone, andando piano per prevenire altre bizze dell'SH, e nonostante il freddo per la pioggia, la preoccupazione per il guasto e per la caduta di mio fratello, non posso fare a meno di notare quello che accade intorno a me.
Le nuvole si diradano, un timido sole fa capolino.
La strada corre tortuosa nei canyon delle Alpes de Haute Provence, il fiume sotto di noi, i paesini scavati e aggrappati alla roccia.
Infine, al valico di un colle, eccolo davanti a noi, a splendere al sole, il Mediterraneo. 
In lontananza, sulla destra, il Col de la Gineste sopra Marsiglia, davanti a noi la pianura ed il mare, sulla sinistra la Costa Azzurra. 
Ci sentiamo già a casa, e quella sera a Tolone cazzeggiamo nell'esaltazione più assoluta, inebriati dal viaggio, dall'aria di casa, dal ricordo delle terre lontane da cui venivamo.


Non si distingue bene, ma questi erano un tizio vestito da donna ed un altro da coniglio rosa in piedi su un pick-up. A quanto sembra non eravamo gli unici a delirare quella sera.

                                      

                            
                          



Bordello!

Il giorno dopo è l'ultimo, e ancora non me ne rendo conto.



Di nuovo la Costa Azzurra, il massiccio dell'Esterel, Cannes e la Moyenne Corniche, ora davvero vicini a casa.



Ed alla fine siamo arrivati.
Calata l'adrenalina, l'eccitazione del viaggio, del ritorno, l'euforia dei racconti, resta ancora qualcosa da elaborare, qualcosa di fondamentale. 
Dopo due settimane siamo di nuovo a Sanremo, la città è sempre uguale. Io, e sono sicuro di poterlo affermare anche per i miei compagni di viaggio, non sono lo stesso.
A volte nella vita di una persona capitano esperienze che ti scuotono alle fondamenta, ti danno nuovi valori in cui credere, un nuovo sguardo sulla tua esistenza, sul modo in cui vuoi condurla. Questi momenti sono come un'epifania, una finestra su un'altra vita possibile. Ti rendi conto di avere davanti una linea sottile, una linea d'ombra, per citare Conrad, e sta solo a te scegliere se varcarla o no, abbracciare una nuova mentalità, un nuovo modo di essere, o rimanere aggrappato ad un'anima che non è più in grado di darti risposte e certezze.
Per quanto mi riguarda, penso di aver fatto la scelta giusta. Sono una persona sicuramente diversa e forse anche migliore, e lo devo a questo viaggio e quello che mi ha insegnato, e le persone con cui l'ho condiviso.


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