Marmellata Di Montagna pt. I

A volte ci son periodi in cui proprio non vuoi programmare niente. Cerchi di non chiuderti nessuna porta, di essere aperto ad ogni possibilità. Che poi questo non sia possibile fino in fondo è un altro discorso, quello che importa è che in certi periodi segui semplicemente il flusso, la direzione che ti danno le cose, le persone, le circostanze. Questa per me è stata un'estate piuttosto inusuale: iniziata tardi, finita presto, è stata come un concentrato di visioni, incontri diversi, esperienze e sensazioni. Come fosse una marmellata: una di quelle che trovi su nelle alpi ogni tanto, fatta in casa, coi frutti selvatici raccolti nei boschi. Dal sapore aspro, ma gustosa, viva. Una marmellata di montagna.








Salito in riviera verso la fine di luglio, mi sentivo francamente un po' svuotato, un po' per la mole di esami e studio snervante affrontati nei due mesi precedenti, un po' per motivi personali che hanno influenzato non poco quest'ultimo periodo. Mi ero ripromesso di recuperare le forze, all'ombra delle palme del ponente. Al tempo stesso fremevo per continuare a muovermi, fare qualche giro, vedere un po' di mondo. Quando i miei mi hanno proposto di raggiungerli in Costa Azzurra, non me lo sono fatto dire due volte. Avrei fatto loro un po' di compagnia, e poi sarei partito in esplorazione dei passi alpini che incombono sulla Riviera francese, da solo.

La prima tappa è stata il trasferimento da Sanremo, la Pirla dei Sette Mari, a Saint Tropez, gioiellino incastonato tra mare e rocce. Arrivarci via terra è da sfigati, concordo, ma c'è comunque la possibilità di attraversare il massiccio dell'Esterel, un capolavoro di curve e rocce rosse frastagliate e aguzze a picco sul mare.



Ça va sans dire che ero in compagnia della mia fedele motozza.


Qualche scorcio dell'Esterel.




Un po' di riposo per lei..


Mentre io vado in esplorazione della cittadina, di cui si sente tanto parlare e sparlare.
Qui una pasticceria ricolma di tarte tropezienne, specialità del luogo.


Qualche particolare. Oltre il viavai della gente e le vetrine luccicanti, si intuisce una bella atmosfera nel paesino.








Cala la sera.



Uno spettacolare chopperino su base Triumph. St. Tropez è la base dei Les Petroleurs.





Il nome di questo negozio mi ha fatto un po' ridere.


Una signora in moto passa a manetta dentro Place des Lices.




Il secondo giorno è ventoso e le nuvole passano veloci, dando riparo dal sole. Per il giorno successivo, quando dovrei partire, è previsto il passaggio di una tempesta che in quei giorni stava devastando alcune regioni francesi. Non ci penso e cerco di rilassarmi al mare, dalle parti della famosa Tahiti Plage.





A sera, ci rituffiamo nella movida.




Il giorno dopo mi accoglie con una grandinata fenomenale, tuoni e fulmini, pioggia scrosciante. Fortunatamente avevo messo la moto al coperto. I miei passano con me ancora qualche ora dopo il passaggio dell'acqua, prima di partire. 
Qui un bel pickup 50's decorato dalla mascotte di un ristorante di carne.



Poco sopra St. Tropez, il paesino di Gassin offre un'alternativa alla folla isterica.



La sera sono solo. Vado in città. La tempesta mi ha guastato i programmi, ma mi sta regalando una vista pazzesca.


Se non sapete cosa mangiare, vi consiglio kebab e granita al limone.







Piano piano cala la sera, mi addentro nella città vecchia. Qui si respira un'aria diversa, si percepisce uno spirito ben lontano da quello che la facciata glamour e esibizionista trasmette. Nei vicoli e nelle piazzette sotto la luna c'è ancora spazio per un'anima più semplice e a misura d'uomo. Vecchi pescatori che discutono fuori da portoni di legno marcio; ragazzine biondissime che ti lanciano occhiate che minano la tua serenità e smettono di parlare mentre passi; amici che giocano a carte, con la finestra al pianterreno spalancata su piazzette nascoste e quiete in cui ti sei appena imbattuto, e quasi potresti essere della partita, mentre ti salutano con un cenno della testa..






Contento, sorpreso dalle mille facce della cittadina, vado a letto soddisfatto. La mattina dopo un sole sorridente e tutto nuovo mi saluta. E' ora di partire.
Direzione nord.





Dopo un po' di saliscendi nella dolce campagna provenzale, arrivo alle gole del Verdon.




Il campanile sulla Roc annuncia la cittadina di Castellane.



Proseguo in direzione nord, risalendo il Verdon fino alla sua sorgente sul col d'Allos. Qui il lago cristallino ed invitante di Saint Croix.





"Let it be known there is fountain, that was not made by the hands of men"..la fresca acqua di montagna mi restituisce un po' di forze.



E' solo il primo passo dei tanti che affronterò ed è anche uno dei più bassi, eppure raggiungere la cima di una montagna dà ogni volta una sensazione di completezza.




Comincio la discesa, salutando le pigre muccone..è qui che mi capita un'esperienza molto piacevole e che consiglio a tutti quanti! Un'ape mi si infila in bocca, e prima che riesca a sputarla mi punge al lato della bocca. Un dolore lancinante, poi una sensazione di intorpidimento. Tempo di arrivare a valle ed ho il labbro della Minetti. A metà fra lo spaventato ed il divertito prendo un antistaminico, che almeno ferma il gonfiore.


Dopo mangiato, riparto verso il Col de Vars.







I passi si assomigliano tutti vagamente, ma ognuno di loro regala qualcosa in più del precedente. Imparo la successione...prima il bosco, poi la prateria di montagna, sopra ci sono le rocce. Ultimo stadio è il ghiaccio, ma a quello devo ancora arrivare.
Proseguendo verso l'Izoard, avvisto la prima neve.



Comincia un'altra salita, ancora più grandiosa.







Durante la discesa, galvanizzato dalla vista che riempie gli occhi, faccio una foto ad un gruppo di ragazzini che saluta festante.


Arrivo a Briançon, la "città delle fortezze", e decido di fermarmi per la notte. Trovo una mezza topaia con bagno in comune e mi schianto sul letto.


Durante la notte, come nella più classica delle commedie, mi alzo per andare in bagno e accendendo la luce mi spavento da solo guardandomi allo specchio. Svanito l'effetto dell'antistaminico, la faccia si è rigonfiata, adesso sembro Elephant Man. La mattina dopo saluto l'albergatore con una mano sul viso e riparto. 
Ma la mattina in alta montagna può essere di grande aiuto. Tutto è illuminato di sbieco, le ombre sono lunghe e il sole non riesce a scaldare. Il fiato si condensa ed il mondo sembra fresco, nuovo di zecca, come impacchettato durante la notte solo per te. Non c'è momento né posto migliore per pensare di partire.


Prendo il Monginevro verso l'Italia, ma torno in patria solo per qualche chilometro. Saluto per il momento la Francia.


E da Susa risalgo su verso il confine, al valico del Moncenisio. La salita è meravigliosa. Quando credo di essere arrivato in cima in verità sono solo all'inizio del passo vero e proprio, esteso su tutto un altopiano in quota. Qui la gola che precipita verso l'Italia.


Mi dirigo verso dei tornanti che scalano quello che sembra un terrapieno.


Dietro il quale si cela questo enorme muro, che ancora non so essere una diga.


Ed è con meraviglia che dietro il muro scopro un mare azzurro e luccicante, sul quale le nuvole veleggiano pigre, come un'Eden inaccessibile..






Saluto la montagna e comincio la discesa verso valle. Diretto verso un altro passo leggendario e sontuoso, l'Iseran, uno dei più alti in Europa.




Comincia un'altra salita, una ancora più difficile, gelida e spettacolare. Diretto verso il cielo, letteralmente, più in alto del ghiacciaio che luccica lì in fondo.






E' un'estasi continua. La salita sembra non finire mai, la strada si restringe sempre più, il freddo si fa allucinante nonostante sia inizio agosto, e anche le rocce cedono il passo alla neve ed al ghiaccio...l'unica cosa più alta è ormai solo il cielo, terso e di un blu violento.



L'altro versante, decisamente più dolce e meno selvaggio, è quello della Val d'Isère, meta sciistica piuttosto rinomata.




Purtroppo a metà della discesa la macchina fotografica finisce la batteria..siccome sono un belinùn la notte non l'ho messa in carica. La spengo e ho batteria residua solo per testimoniare il passaggio dall'ultimo passo alpino di giornata (escludendo il Tenda, fatto quella sera sulla via del ritorno a Sanremo), il Piccolo San Bernardo.



L'ultima foto che ho di questo giro è questa qui sotto. Che magari può sembrare un po' insulsa, ma non lo è per me. Quel gigante bianco che si erge sullo sfondo è il massiccio del Monte Bianco, il monte più alto d'Europa. 
Trovarmi a fronteggiare, io e la mia piccola, questi titani di roccia e ghiaccio, scoprirmi così piccolo tra vette così faticose da guadagnare, rabbrividire e tremare senza controllo al freddo dell'altezza, contemplare vallate immense e silenziose nella luce della montagna, sono tutte cose che mi hanno fatto pensare. A tutte le nostre fatiche e pene nella vita di tutti i giorni, a come ammazziamo con l'abitudine i nostri sogni e desideri più vivi e degni, a come ci perdiamo dietro a macchinazioni da formichine indaffarate, per ottenere riconoscimenti che alla fine della giornata non sono davvero importanti. Si perde di vista quel sapore un po' ingenuo della scoperta, dell'esperienza del nuovo, del non provato né visto, che dovrebbe essere il filo conduttore di tutta una vita. Al momento di fermare la mia corsa verso il nord, e puntare le forche verso sud, è stato questo il senso che ho trovato nelle montagne.


Il ritorno a casa è frenetico: sono le tre del pomeriggio e alle sette mio fratello parte, devo riuscire a salutarlo. Ho quattro ore di tempo per andare da Courmayeur a Sanremo. Faccio un pieno alla mia inossidabile moto, mi levo uno strato di vestiti dato che a sud sarebbe ricominciato il mese di agosto, e mi metto in cammino. 
L'ultimo momento che ricordo è stata al tunnel del Tenda, ormai a due passi da casa. In attesa che scattasse il verde per il nostro senso di marcia, spengo il motore e mi sdraio sulla moto, chiudendo gli occhi un attimo, lasciando che la memoria ancora fresca di tutto quello che avevo visto in quei giorni mi invadesse la mente...la pancia vuota, il cuore pieno.



Ike

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