MADE, Built & Rebuilt.
Due alberi parlano di albere. "Ma se la vedo cosa faggio?"
"Beh, cortecciala!"
Non sapevo come rompere il ghiaccio - quanto pesa un orso polare? abbastanza da rompere il ghiaccio. Il mezzo di Davide è decisamente inedito per queste mie pagine, e immagino anche per le vostre, qualsiasi esse siano - non vogliamo sapere.
Parte infatti come una Yamaha XS 650, primo motore 4T della storia della casa giapponese, e bicilindrico in linea dal look evocativo. L'anno è il lontano ma non lontanissimo '76-'77, e il racconto di come è venuto fuori un mezzo così cattura-sguardi è decisamente interessante.
Mi racconta questa storia in un caldo pomeriggio di una domenica di maggio, in un conglomerato di locali a ridosso dell'Aurelia, da cui proviene un sommesso rombo di macchine impegnate nel ritorno dal mare. E' qui che trova il suo quartier generale il collettivo MADE, una delle più prolifiche e inventive realtà del custom capitolino.
"E' dal 2009 che ci conosciamo", mi spiega Davide, "ma l'idea di riunirci risale al 2011. Dopo varie idee ci siamo trovati questo posto, un garage comune, creato un po' per gioco un po' per incoscienza".
Ora il collettivo conta 15 persone al suo interno. "Tutti noi abbiamo lavoro, famiglia...ma il venerdì sera riusciamo sempre a fare una mangiata tutti insieme, qui in officina". E fra una carbonara e una birra, hanno anche il tempo di sfornare con discrezione e un sorriso delle splendide motociclette, espressione di un gusto e una creatività indubitabili.
Questo suggestivo e magnetico boardtrack ne è un esempio lampante. Davide aveva già un XS 650, funzionante, ma per necessità creativa, e non di meno quella di lasciare intatto il telaio originale, si mette in cerca di un telaio e un motore da cannibalizzare. Per farvi un'idea, la versione originale è questa.
L'aiuto appare una sera al Geronimo, quando Davide conosce un certo Massimo, misterioso possessore di almeno 6 XS, fra telai e motori. Per pochi spicci, Davide porta a casa un telaio originale, perfetto per l'operazione che ha in testa.
La sezione del retrotreno viene tagliata dallo specialista del metallo di Roma Sud, il grande Coco di Suicide Snails, di cui parlammo qui. Al suo posto viene saldata una coda rigida fatta su misura da David Bird in America, l'ideatore e realizzatore dei kit firmati Lowbrow Customs. Nomi di un certo peso insomma.
Tutta l'operazione è realizzata facendo molta attenzione alla proporzione e all'equilibrio. "Molti tagliano anche il trave trasversale, quello dove sono alloggiati i comandi. Ma un'operazione del genere sballa tutto l'insieme". Tagliando anche quello, in effetti, il retrotreno apparirebbe eccessivamente vuoto e spoglio rispetto all'avantreno. Davide decide dunque di lasciarlo, per funzionalità ed estetica, e vedendo il risultato così lineare si direbbe che ha avuto un gran occhio.
Il motore viene anch'esso dal mitico Massimo di cui sopra, che gli consegna un motore solido (uno dei suoi sei o sette), con solo qualche cosa da risolvere: viene aperto e sistemato, quindi è pronto per prendere il suo posto nel telaio fresco fresco di saldatura. O caldo caldo di saldatura, suona meglio.
Le forche rimangono quelle originali, vengono solo accorciate le molle all'interno per un look tagliaerba (mi son rotto di dire "rasoterra"). Ad essa viene accoppiato un Borrani da 21", e il tamburo originale XS Special, nello specifico della sua prima versione. Sembra uscito direttamente da un meccanismo del Nautilus.
Il cerchio viene raggiato dal Gazzi, probabilmente l'unica cosa che Davide non fa sua manu sulla moto. La piastra di sterzo, almeno quella superiore, rimane quella peculiarissima originale, mentre quella di sotto viene rifatta daccapo, uno dei tanti particolari realizzati dal nulla da Davide.
A completare lo sterzo ci pensano un neo-classico faro proveniente da una Mercury degli anni sessanta, mentre i semi-manubri sono realizzati dal nulla, con tubi da 1", chiusi da leve al contrario com'è d'uopo su una boardtracker, e manopole che richiamano le vecchie Tommaselli coke bottle.
Sul serbatoio replica Wassell di Lowbrow viene montato un tubo esterno per la broda, una magata per sapere se rischi di rimanere senza sbrenza mentre sorpassi quel lunghissimo autotreno in autostrada. La qual cosa, mi rendo conto, suona un po' troppo verosimile per far ridere.
A proposito di serbatoi, vincete un ghiacciolo gusto gabbiano se indovinate da dove arriva quello dell'olio.
Niente? Dire che non si vince tutti i giorni una roba del genere..
Vabò se vi arrendete ve lo svelo io. Non avreste vinto una ceppa comunque perché quello non è il serbatoio dell'olio (l'XS ha la coppa), bensì una raffinata soluzione per alloggiare pulsanteria e accensione, e per riempire quel "vuoto" del telaio di cui parlavamo prima, nemico numero uno quando si va a fare un rigido con un motore così particolare.
Bando alle ciance, la botticella arriva da due pentolini di latta tagliati e saldati una sopra l'altro.
A meno che non siate chef o piazzisti di pentolame non ci sareste mai arrivati, confessate. La sella è una classicona Biltwell, che dichiara al mondo di essere montata su una Yamaha.
Sulla gomma posteriore da 16" equipaggiata del tamburo originale spicca un parafango Wassell OG, per la cui sinuosità ho già espresso una morbosa attrazione ai limiti dello psicotico; il più classico dei parafanghi a lama arriva probabilmente da un'asta vinta all'ultimo secondo su eBay, quasi sicuramente contro orde di famelici giapponesi attaccati al pc.
"Ecco, pensa che noi abbiamo eBay", dice Davide quando gli dico che il mio Wassell arriva proprio da lì, "immagina che doveva essere costruire una moto quando a malapena avevi il telefono". Saggia e umile osservazione, che non sminuisce affatto ai miei occhi le capacità manuali e creative del realizzatore di questo mezzo.
Il faretto posteriore è invece un Duo Lamp replica (direttamente dai Ford Model A), che fa sempre la sua porca figura, specie su motociclette con questa linea.
Ad alimentare tutto il rebelotto ci pensano due Mikuni da 38, gli originali che pompavano questi tignosissimi Yamaha già dalla fabbrica.
Mentre il pomeriggio volge ad ore più fresche e la luce si fa più leggera sugli oggetti, le domande cambiano di genere, e i racconti non si limitano più alla mera descrizione meccanica. Mi gira in testa una domanda, ed è questa: perché proprio l'XS?
"Eh...ha qualcosa di steampunk", ridacchia Davide sincero, "mi ricorda i romanzi di Jules Verne. Hai presente quelle mine sottomarine utilizzate durante la guerra? Sembra qualcosa uscito da quell'immaginario". Il paragone è brillante, e colpisce nel segno. E il riferimento letterario mi garba, non è un caso che abbia citato il Nautilus.
A guardar bene i tre coperchi di ispezione sulle teste sembrano proprio uscire da un'altra epoca, una in cui il futuro era già arrivato. L'aspetto barocco della viteria, del motore, delle alette, danno un'aria mitologica alla motrice, che anima di una storia tutta sua il mezzo.
"Di queste moto ne ho tre. Una è questa, l'altra la sto tenendo tutta originale...una terza la sto costruendo in questo periodo". Osservando il motore, e ascoltando le parole di Davide, non è difficile intuire che tipo di passione può suscitare questo genere di motociclette, e la mania che ne può derivare.
"Sono dell'opinione che non sei mai tu a scegliere le moto", prosegue Davide in una parentesi filosofica, "ma sono loro a scegliere te. Per anni ho guidato un'Harley (e non una qualunque, ma un Evo Bad Boy, ndr) e per quanto mi piacesse, non mi ha mai dato quello che ho sentito con questa moto. E' lei che mi ha scelto".
Parole oneste e positive, che lasciano ben intendere il rapporto che ha Davide col suo mezzo. "La ragione per cui la moto non è lavata per queste foto, per cui i bulloni sono arruzzoniti ed il telaio è lercio per il residuo degli scarichi, è che questa moto la uso, tutti i giorni".
E nonostante l'aspetto (apparentemente) proibitivo, su questa moto Davide ha collezionato anche numerosi giri di un certo livello. Tra le spedizioni estive al grandioso Old Irons, il raduno definitivo per chi segue il custom romano, e qualche puntata al Summer Jamboree a Senigallia (il più grande festival rock'n'roll tradizionale nel vecchio continente), questo rigido non si è fatto mancare nulla.
Ma il viaggio più bello, Davide e questo mezzo lo devono forse ancora fare. "Un giro che vorrei veramente compiere", confessa Davide, "sarebbe arrivare in Normandia, visitare i luoghi dello sbarco. Un po' come sfida verso i miei amici che hanno moto (si vocifera) più affidabili, un po' perché vorrei andare a rendere omaggio". Intenzione ammirevole, e per un attimo la memoria di quando avevo nove anni, e correvo giù per i crateri lasciati dalle bombe a Pointe du Hoc, mi riempie la mente: davvero niente male, arrivare fino laggiù in moto.
"Una volta sulla strada per Senigallia superai un tizio su uno Shovel", prosegue divertito Davide, "quando mi fermai per fare il pieno evidentemente lui mi vide, e volle per forza complimentarsi e osservare da vicino la moto. Era troppo veloce però per frenare e entrare nell'area di servizio, dunque tirò un'inchiodata e entrò in contromano dalla rampa d'uscita. 'Che moto eccezionale', mi disse, 'dovevo fermarmi per capire che c*zzo fosse'". Un attestato di stima che avviene non di rado per Davide, giusto guiderdone (guiderdone è spettacolare) del gusto, dell'inventiva e della fatica che il nostro eroe ha speso nella realizzazione di questa sontuosa motocicletta.
Una volta lo ha persino fermato l'attore Marco Giallini per strada, per dare un'occhiata più da vicino al mezzo. Ma tutto questo non intacca di un millimetro l'umiltà di Davide, e rimane uno spirito presobene e dall'attitudine più che positiva, come traspare quando gli chiedo degli strani ammennicoli sui cavi candela. "Sono anelli", conferma Davide, "me li ha dati in regalo Francesco, un altro ragazzo di Made, a cui ho inciso il motore Shovel della sua moto. Non mi reputo abbastanza bravo da accettare denaro in cambio di quel lavoro, ma lui ha voluto ripagarmi lo stesso così". Dando un'occhiata allo strepitoso risultato di quell'opera (di cui spero vedrete qualche foto anche voi che leggete - se c'è qualcuno che legge questi articoli, ovvio), capisco la giusta misura e qualità delle persone e storie che aleggiano intorno a questo garage e chi ne fa parte, e intorno a questa moto e chi me la sta raccontando.
Soddisfatto da quest'ultimo aneddoto, mi resta una sola domanda: che vuol dire MADE? "Beh, il nome completo sarebbe Made, Built & Rebuilt; lo abbiamo abbreviato in Made, perché contiene "mad"...qui siamo tutti un po' matti".
Il tipo di follia più salutare che esista, quello che spinge alla creazione: a volte di quadri, a volte di libri, altre ancora di crudelissimi bobberini rasoterra che pestano l'asfalto del Raccordo, e di chissà quale strada.
Direi che tutto questo è ben chiaro al buon Davide; per quanto mi riguarda penso proprio che nulla di banale uscirà da quel garage sull'Aurelia.
Un grazie a Davide, a MADE, e perché no pure alla Yamaha per una domenica pomeriggio di belle storie.
E con questo, faccio come Baglioni, e mi levo dai cogli*ni.
Ci tenevo ad informarmi che quella sotto non sarà l'ultima battuta brutta che farò. E che questa è l'ultima puntata di San Pablo, fino alla prossima.
✠ ✠ ✠
"Papà, ma il nonno è cattivo!"
"Zitto e finisci di mangiare".
Commenti
Posta un commento
Per i lettori non registrati, cliccare sulla voce OpenID.