Corri Fiero, Vivi Libero



Titolo alternativo: Live to Ride, Ride to KFC




Fin qui ci siamo arrivati. E ora?



Come si ricomincia a parlare? Come si ricomincia a dare un senso a quello che si dice, o anche solo ai segnali stradali? Le parole del mondo sembrano un fiume: più di levigare la pietra sembra che non faccian molto, che non lascino traccia, solo un letto secco e riarso dopo la piena.


Senza le parole tutto è perduto. Redenzione, riscatto, risalita, tutto è vacuo di significato, perché non viene dato giusto risalto al significante. 



Allora ripartiamo un attimo dalle basi, dal titolo. Corri fiero, vivi libero.



Corri: non camminare, corri. Un imperativo della vita quasi: tutti sono di corsa, se tu non lo sei stai sbagliando qualcosa.



Grazie a Dio c'è quel fiero subito dopo, a qualificare il modo in cui corri, forse ad attenuare quella fretta che ti mette addosso l'ordine categorico. Non correre e basta, corri fiero. Vale a dire: mentre corri, prenditi il tempo di farlo con cura; di essere fiero, per l'appunto, del modo in cui stai correndo.



Così va meglio. Quel corri da solo mi avrebbe messo più ansia di quanto avrei gradito. Così almeno so di potermi concedere di rallentare di tanto in tanto, in prossimità di attraversamenti pedonali e scuole, o per guardare un panorama inusuale o cercato, occasionalmente per specchiarmi nelle vetrine dei palazzi, e vedere se sulla moto sembro lo stesso besugo di quando vado a piedi. 



Ma andiamo avanti: vivi. Beh, questo è un po' più complesso. Non basterebbe certo un paragrafo a esplicare ed esplorare tutte le implicazioni filosofiche, antropologiche, biologiche eccetera eccetera che questo verbo cela in sé. Non ne avremmo il tempo, la voglia, e nemmeno la capacità cerebrale, che già è poca di per sé, figuriamoci a mezzanotte dopo una giornata irritante. 



Limitiamoci allora a dire: che ci stiamo provando. Forse al meglio delle nostre possibilità, magari non al meglio delle nostre capacità. Insomma stiamo facendo quello che possiamo, ma non quello di cui saremmo capaci, ammesso e non concesso che siamo veramente capaci di qualcosa. Ma tutto sommato sì, ci stiamo provando, dentro di noi, a giustificare con pensiero, azioni e sentimenti tutto quanto; tutto, tutto lo scibile umano e non, tutta la molteplicità di sguardi verdi e riverbero di sole sul mare che per un attimo e solo per quell'attimo ci sprigionano, nel senso lato, vagamente proustiano, del termine. Ci proviamo, a dare continuità, a continuare a continuare. A crescere, in ultima analisi: quello che ci si aspetterebbe da persone sul "lato sbagliato" dei vent'anni.



Ci stiamo riuscendo? Il sabato solitamente mi sembra di sì. La domenica decisamente no. Va a giornate dunque, mi sento di concludere. E dunque, più spesso di quanto vorrei, è l'episodicità, quell'orrida bestia, a costellare il tempo di epifanie che non sempre ho l'entusiasmo di contare come vittorie.


(pic by Wayne Folli)


Deprescion.


Libero. Oh, libero mi piace. Del titolo, sarò sincero, è quella parte che forse mi piace di più, più di corri, di fiero, e persino di vivi, che è una cosa a cui sono affezionato. Ma non per i significati che di solito si danno alla parola libero, ma piuttosto per il loro contraltare, il lato oscuro di una luna piena: che non si vede, ma c'è sempre. E il contraltare dell'essere libero, l'avevo detto tempo fa non ricordo dove, è che puoi scegliere di essere schiavo di qualcosa. Il non scegliere, l'essere sciolto da qualsiasi legame, sembra libertà, ma è in realtà un essere nulla. E' essere schiavi della propria libertà, e significa non essere nulla.



Dunque la libertà vera, a parer mio, sta nello scegliere di non essere più liberi: di votarsi a qualcosa. A qualcuno. Persino a sé stessi può andar bene, magari non è proprio molto morale, ma è già qualcosa. C'è della gioia immensa nel dare, l'ho scoperto devo dire da poco, e dunque lo vivo con quell'entusiasmo un po' fastidioso degli ultimi arrivati. Ma alla fine della fiera il nocciolo della questione è che mi è stata data la libertà di scelta, e una scelta credo di averla fatta. Non sono sicuro sia stata una grande scelta, ma immagino avrò il tempo per pentirmene, e forse anche di cambiare idea.



Ma quegli episodi di cui parlavo prima, cui non riesco a dare continuità, me la rendono più convincente ai miei stessi occhi. Così come risultano più convincenti parole e propositi, se ci si prende tempo per fare attenzione a come vengono gettate nel mondo. Si scala fino in prima, si rallenta assaporando il minimo che tiene a galla il motore, si osserva il proprio respiro condensarsi nell'aria cristallina di un inverno qualunque, su una montagna qualunque.



Si saluta chi va via. Non ne sono sicuro, ma qualcosa in quello che ho appena blaterato confusamente vorrebbe essere un pensiero in più, per più di un amico. E' di fronte a quello che succede inaspettatamente che si tirano le somme, si riaggiusta il tiro, la rotta. E' necessario e inevitabile. Per questo, immagino, ripartiamo dalle parole, per vedere se hanno ancora un senso.



Lo hanno ancora, almeno per me. Meno male, aggiungerei: non so come sarebbe possibile sostituire tutto questo con una qualsiasi altra cosa. Il sollievo del vedere alberi già in fiore, la segretezza del paesaggio dietro la prossima curva, quel divertente senso di bagnaticcio alle chiappe quando scopri di non sapere dove sei, quell'amico che ride per le stesse idiozie - sempre le stesse da una quindicina d'anni. Quel tipo di amico che se hai voglia di pollo fritto, sa dove portarti. 



Abbiamo rischiato grosso. Ci siamo preoccupati, ci siamo riuniti, ci siamo un po' persi fra i moscerini dell'Argentina inseguendo ragazze tra i paesini, momentanea dispersione di energie nel caldo umido dell'estate. C'è chi purtroppo ha smesso di correre.


Ma c'è anche chi ha resistito. Personalmente non so ancora esattamente come, ma siete ancora tutti lì, e vi sono riconoscente per questo, perché la parte migliore di tutti noi deve resistere.



Ho perso il filo, più o meno dalla terza riga. Ma credo di aver detto tutto, nel solito modo apparentemente confusionario. Concluderò questa deludente ricomparsa per reiterare il già detto: ci siamo ancora, anche se non sembra. L'estate è dietro l'angolo, anche se non sembra. Il nome di questo sito ha ancora un senso, e abbiamo grandi piani per la nostra vita, se ce ne prendiamo il permesso.



Restate sintonizzati: non morite. Questo è il consiglio che mi sento di darvi, e che mi diede anni fa un amico. E' un ottimo consiglio se ci pensate.



Viva l'abiura di ciò che si dava per scontato: niente è più rinfrescante dell'incoerenza e del cambiare idea, se ha senso farlo ovviamente. Ma soprattutto, e per sempre, viva il pollo fritto.
  
       
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PS: sono fermamente convinto che l'inventore delle motociclette volesse semplicemente creare un mezzo più veloce del cavallo per arrivare dal suo paninaro di fiducia. Ritengo anche che, in fondo, chiunque si avvicini alle motociclette lo faccia per questo preciso motivo, per arrivare più velocemente al cibo. Che poi il cibo in questione si trovi a Nordkapp, nella Cina comunista o sotto casa, poco cambia: basta andare, per saziare la fame. E per questa esiziale lezione ringrazio il VHS di "In giro per il mondo con Timon & Pumba".



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