Sonnenuntergang!

Penso che a volte funzioni anche così. Conquisti finalmente una vetta, metaforica o reale non importa, e per quanto sia stato orridamente masochistico costringersi a raggiungerla, ti guardi subito intorno, per trovare un altro modo di darti l'ormai proverbiale bottiglia sui maroni come il profetico Tafazzi.

Se vi sembra eccessivo come tono, sappiate che sono freddoloso, e cercare di raggiungere l'ElefantenTreffen con temperature medie di 6-7 gradi sottozero unite a velocità medie di 100 all'ora non è esattamente la mia idea di inverno tranquillo.


Ma cacchio che figata.



Nella mente certe cose diventano quasi un'ossessione, balene bianche che nuotano appena sotto la superficie, a profondità che sembrano irraggiungibili; tu non fai altro che scrutare il mare dalla murata della nave, incerto se lanciarti nello scuro, arpione in mano, ad affrontare il Leviatano.

Che parole inutilmente solenni. Tutto questo per dire che ho passato due anni, dal mio ultimo viaggio "serio", prima di decidermi finalmente ad affrontare il mostro. Ma non è solo colpa mia. Dico sul serio. Ero...rimasto senza benzina. Avevo una gomma a terra. Non avevo i soldi per prendere il taxi. La tintoria non mi aveva portato il tight. C'era il funerale di mia madre! Era crollata la casa! C'è stato un terremoto! Una tremenda inondazione! Le cavallette! 

Scherzo. Grosso modo solo rotture di c*zzo universitarie. E mia mamma è ancora viva. Ma la fine ingloriosa del mio percorso universitario ha finalmente aperto le porte alla caccia, e complici gli articoli e i racconti leggendari e fomentatòri di Jack, e non ultima la prospettiva di fare finalmente un viaggio in moto insieme - seppur breve - ho finalmente cominciato a programmare male e in modo approssimativo il mio primo Elefante.


I preparativi vengono ultimati in un weekend quanto mai frenetico: mi si spezza il cavo della frizza, ma lo aspettavo al varco e lo cambio subito; trovo un modo per aggrovigliare delle catene alla gomma davanti e decido che sarebbe andata bene così, anche per la gomma dietro; trovo le salvifiche moffole della Tucano e le monto. Insomma, per una volta sono partito preparato. Peccato per bagnoschiuma e ciabatte: quelli proprio me li sono scordati.
Ma la partenza finalmente arriva, un mercoledì mattina, con quel bell'umido romano da far invidia al bassopiano sarmatico. Alla volta di Milano, prima tappa del mio viaggio, da cui poi mi sarei unito a Jack.


Ma il viaggio scorre piacevole, splende il sole sul centro-nord, e nemmeno sul famigerato Mugello trovo tanto freddo. Rombo tra le gallerie della variante di valico e affronto gli ultimi duecento chilometri di pianura verso Milano, dove Carlo mi attende per sbocciare come si deve, con un bel Dompe retroilluminato fosforescente, e un risottino cavolo e patate. La grandezza la trovi solo in posti selezionati: casa Giordano è uno di questi.


La mattina dopo la sveglia è presto. Molto presto. Almeno per i miei standard. Ma riesco comunque ad arrivare in ritardo all'appuntamento con Jack, per cui la reputazione è salva. Ci avventuriamo per le vie di Milano ancora buia, flash di Aldo Giovanni e Giacomo mi attraversano la mente, prendiamo la tangenziale e ci immettiamo in un autostradone di tre corsie. All'autogrill di Agrate aspettiamo il terzo componente del gruppo. Nel frattempo ci sfilano davanti moto di ogni tipo e estrazione, cariche da viaggio. Andiamo tutti nello stesso posto. Calda sensazione.


Qualche minuto di pausa ed ecco Tave: un barbuto motociclista dall'aria simpatica, su un onestissimo Dominator randagio e dall'aspetto tritamiglia. Sella ricoperta di pelo, moffolone da guerra, si parte: il prossimo appuntamento è a Trento, dove ci attende il quarto del nostro piccolo gruppo.


E' una prima tranche di ambientamento al freddo (un po' di umidità e tre sottozero in pianura padana), e reggo meglio di quanto credessi, anche se ad ogni sosta sono moccoli, mani attaccate ai cilindri e tè caldi con mooolto zucchero. Tutto questo, e l'evidente stato di eccitazione (ben visibile sotto tre strati di pantaloni) che si accompagna alle avventure, mi porta a credere erroneamente di potermela cavare con poco. Ma siamo ancora ad un'ottantina di chilometri dal Brennero, e il peggio deve ancora venire.


Ma tutto questo non importa. L'aria cristallina di montagna allaga ogni angolo della valle, le montagne sono nitide e lucenti, il sole alto nel cielo, e la compagnia è decisamente piacevole. Guardo a Jack come a Virgilio, come Dante lo seguo dappertutto, pure al cesso.


Ferruccio e la sua business-ready Ténéré si uniscono e completano la compagnia. Mi viene in mente una cosa scritta da Jack in uno dei suoi articoli sull'Elefante, uno dei tanti che ho imparato a memoria. Dice qualcosa sulla parola che viene subito dopo motocicletta, ovvero amicizia: sono l'ultimo arrivato del gruppo, conosco la metà di loro solo a metà (cit. Bilbo), eppure il fare strada insieme, anche con qualcuno che hai appena incontrato, dà una leggerezza ed un grado di fiducia nel prossimo che poche altre esperienze nella vita ti danno. Siamo in quattro, siamo in moto, siamo a posto.  


Verso Vipiteno facciamo un'ultima sosta autostradale, poi usciamo e decidiamo di fare il Brennero via statale, per movimentare un poco le cose.


Controlliamo un ultima volta mappe e navigatori, prima di intraprendere il valico che porta verso Innsbruck. Finalmente neve sulle montagne. Tre giorni dopo avrei dato non so cosa per vedere una montagna senza neve.


La prima parte del valico, fino al confine austriaco, è soleggiata e pulita. Navighiamo fra le conche innevate, il sole riscalda abbastanza da poter proseguire senza troppi problemi.


Il versante opposto è un po' più rognoso: la conformazione delle valli fa sì che la maggior parte della strada sia all'ombra, dunque l'umido della mattina in qualche punto si è ghiacciato. Arrivo in una curva e piglio una mezza imbarcata, per fortuna senza conseguenze, se non quella di farmi venire uno scarabaccino tremendo. Completiamo la discesa verso Innsbruck a dieci all'ora e non esitiamo a cominciare la salita sul versante opposto, quello che porta verso Garmisch e la Germania.


La salita è ripidissima per il primo tratto, c'è puzza di frizione putrefatta che arriva da una fila di macchine davanti a noi. Ci arrestiamo al termine della prima salita per stabilire il da farsi: il Brennero ci ha preso più tempo di quanto preventivato, questo scombina leggermente i piani. Decidiamo di scavallare le Alpi via statale, e poi prendere un'autostrada dritto pe' dritto verso Monaco. Quella foschia che vedete dietro la nobile cavalcatura di Jack, e davanti alle Alpi austriache, è inversione termica, mi spiegano: si verifica in particolari condizioni di umidità, e vuol dire che fa più freddo in basso in pianura che in alto in montagna. Equivale ad immergersi in una ghiacciaia a cielo aperto, non è molto piacevole.



Ne assaggiamo la brutalità poco dopo. Completiamo la salita e cominciamo a veleggiare fra le vette verso Garmisch: tutto intorno a noi è un tripudio di monti che si susseguono senza fine, foreste imbiancate, diamanti che scintillano nella neve. Avrei voluto fare mille foto ma il cellulare si era spento per il freddo. Finita la discesa, ci avviciniamo verso l'autostrada e verso una foschia simile a quella della conca di Innsbruck: ci entriamo senza vasella e ci ritroviamo in una nebbia lattiginosa. La temperatura, già bassa, scende di botto, e la corsa prosegue (almeno per me) fra pensieri poco costruttivi sulle mie scelte di vita, sul perché e il per come non abbia scelto di trovarmi un hobby più salutare come la cocaina, o il krokodil, o il golf. Basta però una sosta a lato strada, per sciogliere con due risate e una pisciata calda nella neve fresca la tensione della mente. Un té caldo e un biscotto con otto chili di burro dentro, poco dopo, sciolgono anche quella del corpo.


Arriviamo a Monaco e troviamo quasi subito l'ostello, entriamo illegalmente in un parcheggio a pagamento e ci rilassiamo un attimo con una Augustiner servita dalla deliziosa Alyssa, la barista bielorussa dell'ostello. Programma della serata: assalto alla leggendaria Hofbräuhaus, una delle migliori e più grandi birrerie di Monaco. Mariaaa, you gotta see her...


Solo una volta ero stato a Monaco, in gita, e mi ricordo solo un negozio del Bayern e una cattedrale con due campanili vagamente fallici. Arrivarci d'inverno in moto è un'altra cosa, e la passeggiata nel centro illuminato è piacevolissima e rilassante.


Dopo una foto fatta da Chiara, la ragazza di Jack (da Milano) con la webcam della piazza di Monaco (magia nera, secondo me), arriviamo all'immensa (immensa) birreria.


Tave, appassionato di storia, mi spiega che questo luogo ha vista la nascita del nazional-socialismo, essendo la birreria preferita dal Fuhrer, e teatro dei suoi primi comizi. Quello che ne rimane oggi è una banda in abiti tradizionali che suona la stessa pomposa fanfara bavarese per delle mezzore, e il cameriere calabrese che ci porta le birre: "Vi portho i menhù in ithaliano". 


Grazie a Dio, la Baviera ha saputo produrre anche qualcosa di umano: la birra viene in boccali da un litro minimo. Per ingollare per bene il mezzo maiale arrostito che mi portano va benissimo. La tavolata piano piano si riempie di nuovi arrivi, tutti motociclisti del gruppone di ElefantenTreffen.com che giungono da mezza Italia, tra cui un ragazzo di Viterbo con un KTM e una batteria completamente morta. Non sappiamo se poi ce l'ha fatta a tornare a casa, o ad arrivare al raduno, ma per quella sera va bene così.


Il ritorno all'ostello scorre fra risate ubriache e conversazioni serie (giuro), ed una volta arrivati decido di farmi il bicchiere della staffa baccagliando un po' Alyssa la barista. Reggo per un po', poi cominciano ad incrociarmisi gli occhi, e approfitto dell'arrivo di una banda di russi più ubriachi e determinati di me per darmi indecorosamente alla fuga. In camera, dopo aver ascoltato storie pazzesche dal passato di Tave, è finalmente ora della nanna. Ho appena il tempo di dire buonanotte, che crollo russando (pare).


La mattina dopo mi sveglio con un po' di mal di testa, ma l'aria fresca cancella ogni traccia di dubbio, ripensamenti e - perché no - istinti di auto-conservazione. Si parte verso la sede del raduno, Solla, verso la mitica buca. Pensieri su cosa troverò una volta arrivato si accavallano nella mente, distraendo dall'ennesima botta di freddo a 110 all'ora sulle pianure imbiancate a nord delle Alpi bavaresi. A porre fine ai viaggi pindarici è Jack: "E' il posto più assurdo che avrai mai visto". Mai parole furono più profetiche.


A metà strada un paio di gentilissimi tedeschi ha messo su un punto di ristoro completamente gratuito, con té e caffé caldi, dolci e torte piene di zucchero. Quello che ci vuole. In pochi minuti si crea una piccola folla di motociclisti di ogni fatta e aspetto, tutti diretti a Solla, una piccola anteprima del tipo di atmosfera e fauna che si può trovare.




Un buon esempio è questo Africa Twin, a cui è stato attaccato un sidecar artigianale. Mentre stiamo uscendo dall'area di sosta, entra anche un tizio impellicciato su un motorino di qualche tipo, sepolto sotto bagagli e protezioni di ogni tipo. Insomma, i mezzi sono variegati a dir poco, e più ci avviciniamo al confine con la Repubblica Ceca, più sono i gruppi di motociclisti che cavalcano il tuono, rombando fra le sonnolente colline.


A spezzare l'incessante riverbero del sole sulla neve sopraggiunge il Danubio, su cui navigano giganteschi blocchi di ghiaccio. Poco dopo, arriva finalmente l'uscita dall'autostrada, e ci perdiamo per qualche chilometro fra le dolci colline bianche e immote della campagna: al termine di una salita, ecco finalmente il paesino di Solla. Girato l'angolo, ci si presenta davanti una fila interminabile di motociclette di ogni tipo parcheggiate a bordo strada, finché non accediamo finalmente all'ingresso della Buca. 



Lo spettacolo, lo ammetto, è qualcosa che non avevo mai vista prima. Una valle completamente coperta di tende nella neve; moto, urla, risate e accenti variopinti popolano il gigantesco accampamento. E' qualcosa di barbaro, di unno, di pagano. E mi piace.


Sono francamente galvanizzato, il che è pericoloso perché non sento più freddo. Con Jack ci guardiamo un attimo e poi ridendo ci abbracciamo. Nel frattempo, direttamente da un film di Miyazaki, arrivano questi due eroi su Vespa.


Ora si tratta di scendere in buca e trovare uno spazio dove buttare la tenda. Il circuito è occupato militarmente da Zundapp che strappano a manetta su per la salita, sidecar stracarichi di persone a petto nudo o con elmi da vichingo che scendono di traverso sulla neve fangosa, o da pedoni che si aggirano come anime in pena. C'è già chi ha lo sguardo spento, e quella tipica espressione vacua derivante dall'abuso alcolico. Ma l'atmosfera è una di contagiante euforia: decido di scendere i primi trenta metri dietro Jack, a passo d'uomo; ma appena la moto si inchiana e le gomme cominciano a girare a vuoto, la mollo, e assisto Jack nel montaggio delle sue catene, queste sì, belle professionali.


Così equipaggiato la moto scende che è una delizia, e la discesa in buca è completata. 


Girandosi verso la collina, il raduno continua a popolarsi. 


Trovata una fetta di neve fresca, e trovati anche altri amici del gruppone di ElefantenTreffen.com, ci facciamo prestare delle pale e le facciamo girare vorticosamente, acchittando un po' il terreno per piantare meglio le tende. Dopo aver spalato, fatto su e giù per l'appesissima stradina del circuito, mi ritrovo un po' stanchino, e mentre torno su a cercare Jack e prendere la legna, ho un mezzo momento di mancamento. Che fighetta. Il rimedio è presto trovato: a uno dei due baracchini che vendono cibo mi sparo un panino al morbo di Crohn (cit. Sax) e un primo birrozzo.
Qui l'eroica Super Glide di Jack in buca.



Dopo essermi ripiato un po', incontro Ferruccio e Corrado, anche loro saliti a prender legna. Ci carichiamo quattro cataste e piano piano scendiamo, cercando di non slogarci le spalle o assacchettarci brutalmente scivolando sul ghiaccio. Quando torno al campo la situazione è già bella avviata: Riccardix, presidente di ElefantenTreffen.com, si rotola nella neve fresca assalito da altri del gruppo.



Tave ha sfoderato il misterioso contenuto delle borse del Dominator, rivelando un treppiede con griglia di pregevole fattura. Ferruccio ha tirato fuori il pentolone che era il principale carico del suo Ténéré, e cuoce un delizioso sugo di maiale che piacevolmente sfrigola sul fuoco. Intanto girano focacce, salami piccanti, vino rosso, condivise nel più puro spirito del raduno. La sera scende veloce sulla valle, ma il buio ed il freddo crescente sono minacce vuote di significato, quando si è intorno ad un bel fuocherello.


La festa parte lentamente, ma quando è buio fitto fitto le risate e gli umori sono alti. L'arrivo del mitico Vate, di cui mi erano state cantate le gesta da Jack, è il tripudio: tirata fuori una chitarra da viaggio, cominciamo a intonare in compagnia canzoni tra le più disparate, da blues milanesi di sua composizione a classici folk americani, fino a Gaber e Battisti; il tutto con accompagnamento di kazoo, percussioni sulla tazza di metallo, e controcanti ubriachi ma stranamente intonati da parte di tutti noi. In certi momenti ci seguiva l'intera valle, fomentandoci con richiami da vaccaro e richiesta di successi tedeschi che abbiamo giustamente ignorato.


 Conosco Palmiero, Tito, Lukas, venuto dalla Polonia da solo e privo di tenda (rubata a Praga, lo ospiteranno i due eroi di Messina), altri due ragazzi di Milano arrivati lì con Vespe attraversando l'Engadina a -18, e tanti altri personaggi che mi accolgono al meglio e mi sfamano con roba buonissima, cucinata nel migliore dei modi, ovvero su un fuoco vivo, in un posto in cui sei arrivato in moto. La pasta al sugo di maiale è strepitosa. Me la bevo direttamente dalla tazza.
Jack, su un fuoco gemello, fa partire un giro di tortellini in brodo e sbanca il tavolo tirando fuori il suo ormai venerato liquore al pistacchio.



Ad un certo punto c'è bisogno di un'altra catasta. Curioso di farmi un giro al buio in buca, mi faccio prestare la torcia e parto verso la vetta. Lo spettacolo notturno della buca, se possibile, è ancora più impressionante di quello diurno. La valle è puntellata di falò e fuochi le cui faville si perdono nel buio della notte stellata. Un'intera montagna è popolata dalla luce arancione, da risate e urla, motori tirati al limitatore, fuochi d'artificio sparati nell'oscurità. Alla luce della torcia, emergono dal buio personaggi un po' allucinati, che vagano mormorando e ridendo.
Presa la catasta, ho davanti un tizio che occasionalmente si ferma ad urlare a squarciagola nel buio. Lo sorpasso quando trova un altro tizio che si ferma davanti a lui e fa partire una gara a chi urla più forte; finisce con un abbraccio commosso da parte dei due partecipanti.


Dopo un'ultima birra alla base della buca con Palmiero e Jack, è ora dell'ultima sfida: la fantomatica dormita in tenda, col termometro che ha ormai sorpassato i -10. Con mia sorpresa non va tanto male: vestito e con due sacchi a pelo uno dentro l'altro, riesco ad addormentarmi con una temperatura corporea decente. Avrei dormito anche meglio, se chiudendo la tenda non avessi tirato tutto da una parte il telo di copertura, facendo sì che mi nevicasse brina in testa fino alla mattina. 



La mattina dopo Jack mi sveglia ridendo, chiedendomi se avessi visto come stava messa la mia tenda. Avendo il berretto ghiacciato in testa e della neve tutt'intorno, ne ho un vago sospetto, ma quando esco la situazione è effettivamente ridicola.



Cretino. Ma alla fine son sopravvissuto anche a me stesso, e dopo aver violentato le scarpe completamente congelate in una posizione accartocciata, riesco ad infilarmele e ad uscire a riscaldarmi al fuoco, che ha ripreso vigore.



Per alcuni di noi è ora di partire. Disfiamo con calma le tende e facciamo i bagagli, e dopo aver salutato compagni di viaggio e di falò (alcuni ancora con facce decisamente provate dalla serata) mi avvio verso la moto. Il sole è già alto, ma non abbastanza da sciogliere il ghiaccio che si è formato sul circuito. Caricata la moto parto a passo d'uomo, e una volta preso l'abbrivio cerco di farmi tutta la salita, ma quando sono costretto a frenare dal traffico mi ritrovo in terra in mezzo nanosecondo. Ma fa niente, era preventivato: dieci mani, tra cui quelle provvidenziali di Palmiero e Jack, mi aiutano a rialzarsi, e riprendo la scalata. Esco dalla buca e raggiungo il paesino, dove aspetto gli altri sotto al sole.



Torno indietro lungo la strada e trovo Jack che rimette a posto la sella: la sua batteria aveva dato forfait, ma un motociclista lì vicino gli ha prestato i cavi, e la crisi è scongiurata. Con Palmiero e Jack partiamo a recuperare Vate, che ha deciso un bell'itinerario per il ritorno: corriamo tra Austria e Germania seguendo il corso dell'Inn, fra colline e pianure bianche sotto il sole, lungo statali dolcemente tortuose. Verso Rosenheim sagome nere si annunciano all'orizzonte: sono le Alpi. Qui le nostre strade si separano: loro proseguono verso ovest, io verso sud e Innsbruck, dove ho un'anima gentile disposta a ospitarmi per la notte.



Gli altri vanno verso il disneyano castello di Neuschwanstein. Dormono nei paraggi e il giorno dopo tornano su Milano passando dal Lichtenstein e la Svizzeria. Un gran bell'itinerario.



Io passo una serata irrequieta a Innsbruck. Ma il mattino dopo vengo ricompensato dalla visione del Brennero che si svela lentamente davanti ai miei occhi, alla luce del primo mattino, valli segrete che si rincorrono, e il motore che mugghia calmo sulle salite.


E finisce così il mio primo Elefante. Dei chilometri che mi separano prima da Sanremo, e poi da Roma, non vale la pena parlarne. Non hanno avuto nulla della cristallina, tachicardica, struggente ferocia del cuore dell'inverno, così come l'abbiamo visto noi, nei posti che abbiamo attraversato. Scendendo verso Trento sorpasso alcuni reduci del raduno, e li saluto a mano alzata, mentre le temperature gradualmente si fanno più calde.

E in realtà non avrei potuto chiedere di meglio di questo piccolo grande viaggio, per tornare a qualcosa che credevo di non avere più, e di condividerlo con le persone che ho incontrato, e quelle con cui ho fatto strada. Palmiero e Vate al ritorno..



...e Ferruccio e Tave all'andata.

E Jack. Lo maggior corno de la fiamma antica...le cose che vedremo insieme! See you soon on the road, brother!


E dato che viviamo in un pianeta tondo, e andando avanti si torna comunque indietro, si ritorna anche al solito volo a planare. Dentro il peggiore motel di questa carrettera. Di questa vita-balera.

Ma se ci ripenso, cacchio che figata.


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